L’evento, conclusosi venerdì scorso ad Arezzo, ha rappresentato un’ulteriore occasione per ribadire l’importanza del gesto etico.
Difendere il sistema pubblico e favorire l’interazione con le istituzioni per donazioni gratuite e volontarie è l’unico modo per assicurare stabilità e raggiungere l’autosufficienza. Un impegno ribadito e rinnovato, da parte delle associazioni, a tutela dei propri donatori che, anche in epoca di pandemia, con la loro scelta etica hanno contribuito a garantire trasfusioni e terapie salvavita per migliaia di pazienti. Sono stati solo alcuni dei temi al centro dell’intervento del presidente di AVIS Nazionale, Gianpietro Briola, al Forum Risk Management, l’evento in programma ad Arezzo che, dal 30 novembre, ha visto intervenire i principali stakeholder del mondo sanitario italiano.
Il presidente Gianpietro Briola durante il suo intervento ad Arezzo
Un intervento, quello nella mattinata di giovedì 2 dicembre, che è servito per ripercorrere le tappe di un periodo storico particolarmente delicato per il nostro Paese, e non solo, in particolare sotto il profilo dell’assistenza e della salute delle persone. “La medicina trasfusionale: un percorso tra ospedale e territori”, questo il titolo del convegno in cui Briola, dopo i saluti del direttore del CNS, Vincenzo De Angelis, e l’analisi dei dati sulla raccolta plasma nell’ultimo anno, ha sottolineato la necessità di «difendere i principi etici della donazione. Il Covid ha provocato, in troppi tra di noi, una visione dello scenario organizzativo relativo alle strutture sanitarie. In quest’ottica rimane decisiva l’opportunità offertaci dal PNRR, cioè la possibilità di utilizzare fondi ingenti per aumentare le strutture e implementare i servizi. Ma attenzione. Le Case di comunità saranno utili se capiremo come gestirle e a quale finalità destinarle, perché se non spieghiamo ai cittadini che cosa vi troveranno all’interno e perché dovranno essere dei poli di riferimento, sarà tutto inutile».
Briola ha poi voluto ricordare i principi fondanti della legge 219/2015 che prevede un sistema unico e un’unica rete gestionale: dalla sensibilizzazione e idoneità del donatore, fino al letto del malato e l’invio del plasma raccolto in contolavorazione alle industrie farmaceutiche: «Non possiamo permettere alcun tipo di cambiamento – ha sottolineato – anzi, dobbiamo tutelare questo sistema per non disorientare i donatori. La donazione di globuli rossi e plasma è e deve restare gratuita, periodica e volontaria. Il rischio, altrimenti, è quello di generare dei distinguo o delle categorizzazioni dei donatori, che invece devono riconoscersi nella loro scelta etica e nell’ospedale di riferimento». E che il sistema Italia funzioni lo hanno più volte ribadito anche i dati registrati nei mesi più critici della pandemia: a fronte del crollo nei Paesi in cui la donazione viene retribuita (Stati Uniti su tutti), «qui la flessione ha toccato circa il 2%. L’unica soluzione per centrare l’autosufficienza è mantenere questo principio fondante e, soprattutto, lavorare insieme per aumentare una raccolta che, ad oggi, ci vede raggiungere circa il 70% da scomposizione – prosegue Briola – Il margine per fare più plasmaferesi e aumentare le quantità da inviare in contolavorazione c’è e va colmato. Chiamata e programmazione sono state le chiavi che ci hanno permesso di reggere l’urto della pandemia, ecco perché dobbiamo tutti proseguire su questa strada in modo da preservare la qualità del plasma etico».
Il tavolo dei relatori
Ma che ruolo possono avere le associazioni in tal senso? Oltre al pericolo che può generare l’ipotetica “divisione” delle reti trasfusionali per i donatori stessi, Briola ha ribadito il ruolo associativo come parte integrante del sistema trasfusionale e come riferimento ai singoli centri trasfusionali: «Mantenere una gestione pubblica è l’obbligo in ogni fase della filiera, dalla raccolta all’invio in contolavorazione. Noi non siamo società private, né fornitori di servizi. Sangue e plasma sono essenziali, devono restare pubblici e per fare questo è indispensabile che non passino in altre mani che non siano quelle del SSN a garanzia dei nostri LEA». E AVIS lo sa bene. Le campagne promosse nel corso di questi mesi hanno permesso ai donatori di continuare a essere sempre coinvolti e di sentirsi parte integrante di un meccanismo che funziona: «La sensibilizzazione è servita, ma la pandemia ci insegna che i donatori rispondono se trovano organizzazione ed efficienza. Da qui dobbiamo lavorare per riorganizzare i centri di raccolta, pur tenendo presente le difficoltà di ciascun territorio. L’autosufficienza si raggiunge così, migliorando i Centri regionali sangue, di certo non con stravolgimenti dei servizi. Ecco perché – ha concluso – ampliare le fasce orarie nelle postazioni fisse e non mobili, aumentare il personale sanitario (una necessità rilanciata, nel corso dei loro interventi, anche dai presidenti di SIMTI e SIdEM, Francesco Fiorin e Angelo Ostuni, ndr) coinvolgendo anche gli studenti specializzandi in Medicina e programmare campagne di comunicazione condivise tra gli attori del sistema ci aiuterà in quello che vogliamo. Tutto facendo ciò che, come AVIS, stiamo promuovendo da mesi: alternare la donazione di sangue e plasma».
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